di Massei Luca
Nel 1873 fu istituita una commissione guidata dal generale Douay con un compito preciso: capire se e come si potessero convertire le armi del sistema 1866 all’uso di cartucce metalliche. Fra le opzioni esaminate spiccavano due strade: da un lato la versione francese del fucile Beaumont, già in dotazione ai Paesi Bassi; dall’altro la modifica del Chassepot, messa a punto nell’officina del Deposito Centrale sotto la supervisione del capitano Gras. Di entrambe le soluzioni furono realizzate piccole serie sperimentali, che finirono subito tra le mani dei reparti per le prove sul campo.
Alla lunga prevalse il progetto di Gras. Era più lineare e affidabile, merito anche della sua molla elicoidale che semplificava la meccanica. Su proposta del maresciallo Canrobert, il 7 luglio 1874 un decreto presidenziale sancì l’adozione ufficiale dell’arma, battezzata “Fucile d’fanteria Modello 1874”.
Il nuovo fucile conservava calibro, proporzioni e aspetto del Chassepot, da cui in fondo discendeva direttamente. Proprio questa continuità garantì un risparmio notevole: le linee di produzione già operative poterono essere impiegate senza grandi adattamenti e, allo stesso tempo, gli esemplari del sistema 1866 ancora in deposito furono riconvertiti con spese ridotte al minimo.
Uno dei principali punti critici emersi con il fucile Chassepot riguardava l’uso delle baionette. Il sistema non brillava per efficienza, e la pesante sciabola-baionetta dell’epoca aggravava ulteriormente la situazione. Con l’introduzione del nuovo fucile d’fanteria, il problema fu finalmente affrontato in modo risolutivo: si optò per una nuova spada-baionetta, decisamente più leggera e maneggevole, accompagnata da un sistema di aggancio standardizzato che garantiva l’intercambiabilità tra le armi. Una soluzione pratica, che migliorava l’efficacia in combattimento e semplificava la logistica.
Le armi del sistema 1874 conobbero l’impiego di diverse tipologie di cartucce nel corso del tempo, ciascuna introdotta per migliorare le prestazioni e risolvere problemi emersi nell’uso sul campo. Il primo tipo fu la cartuccia modello 1874, che, pur rappresentando un notevole passo avanti rispetto ai sistemi precedenti, soffriva ancora di alcune imperfezioni: i colpi non sempre risultavano regolari e non erano rari i casi di rottura del bossolo. Nel 1879 si passò a una versione migliorata: la cartuccia modello 1879. Questa disponeva di un bossolo rinforzato e di una crimpatura più precisa, che garantiva un tiro decisamente più stabile e affidabile. Con l’avvicinarsi della fine del secolo, si arrivò alla cartuccia modello 1879-1893, una raffinata evoluzione del progetto precedente. Tra le modifiche più evidenti, l’adozione di un proiettile a punta piatta, pensato per ottimizzare la traiettoria e migliorare le performance balistiche.
Con la convenzione di Ginevra, in seguito vennero prodotte nuove cartucce. Si trattava di munizioni prive di un millesimo ufficiale d’adozione, ma tecnologicamente al passo coi tempi: impiegavano proiettili camiciati e polvere senza fumo, migliorando nettamente le prestazioni rispetto alle versioni precedenti. La loro produzione fu affidata soprattutto a ditte private, tra cui spicca la storica casa Gévelot, probabilmente il maggiore fornitore di questo tipo di munizionamento.
L’introduzione di un fucile a ripetizione, attorno al 1880, non nacque dal desiderio di innovare a tutti i costi, ma da una necessità ben precisa. In quegli anni, la marina militare si trovò a fronteggiare una nuova e insidiosa minaccia: la torpedine, un’arma navale capace di colpire con devastante efficacia. Veniva trasportata da piccole unità – le torpediniere – agili lanciatori a vapore che, grazie alla loro velocità e dimensioni ridotte, risultavano quasi impossibili da colpire con l’artiglieria tradizionale di bordo.
Per fronteggiarle, si rivelò indispensabile un fuoco di fucileria rapido e continuo, affiancato dai cannoni-revolver Hotchkiss, appositamente progettati per questo tipo di difesa ravvicinata. Si impose quindi la necessità di disporre di un’arma individuale capace di un’elevata cadenza di tiro. E se per l’Esercito il problema dell’approvvigionamento di munizioni rappresentava una difficoltà concreta, a bordo delle navi – dove lo spazio e le scorte erano organizzate in modo diverso – tale ostacolo si rivelava molto più gestibile.
Nel 1878, la Marina francese decise di modernizzare il fucile Gras, trasformandolo in un’arma a ripetizione grazie al sistema ideato dall’austriaco Kropatschek. L’Esercito, inizialmente cauto, non adottò subito la novità. Tuttavia, sei anni più tardi, finì per seguire la stessa strada introducendo una versione nazionale: il modello 1884, a cui si affiancò ben presto il modello 1885. Quest’ultimo, per le sue linee e soluzioni tecniche, colpisce ancora oggi per quanto sembri attuale.
Pur avendo avuto una carriera relativamente breve, il fucile modello 1885 riveste un’importanza storica fondamentale: fu infatti il diretto predecessore del più famoso fucile d’ordinanza francese.
In quegli anni, il progresso nel campo delle armi da fuoco procedeva a un ritmo vertiginoso e le esigenze militari crescevano di pari passo. Tuttavia, dal punto di vista balistico, il 1885 non portò sostanziali miglioramenti rispetto al vecchio Chassepot. La traiettoria del proiettile non era più tesa e ciò rendeva evidente la necessità di una maggiore precisione e una gittata più ampia. Per ottenere una migliore precisione, è fondamentale avere una traiettoria più piatta; per colpire bersagli più lontani, invece, bisogna aumentare la velocità del proiettile. Questo risultato si può raggiungere in due modi: caricando più polvere o alleggerendo il proiettile. Ma l’aumento della carica di polvere nera comporta inevitabilmente un rinculo più violento e produce cartucce troppo pesanti, senza che il guadagno in velocità compensi davvero gli svantaggi. La strada da seguire, dunque, appariva sempre più chiara: bisognava ridurre il calibro, portandolo al di sotto dei 10 millimetri. Questa intuizione non era isolata. Molti ambienti militari già riflettevano su questa possibilità. La Svizzera fu la prima a tradurla in realtà, adottando un fucile calibro 7,5 mm alimentato a polvere nera, che offriva doti di precisione e tensione di traiettoria fino ad allora sconosciute, con una velocità alla volata di ben 600 metri al secondo. Così, la Confederazione elvetica divenne la pioniera nell’introduzione dei piccoli calibri ad alta velocità nel panorama delle armi da fuoco.
I vantaggi offerti dalle nuove tecnologie balistiche furono talmente evidenti da spingere la Francia, senza indugi, a progettare un’arma completamente nuova, camerata per un moderno calibro da 8 mm. A questo scopo, il capitano Désaleux progettò un proiettile rivoluzionario: era realizzato interamente in ottone 90/10, tornito con precisione e dal peso di 12,80 grammi. La sua struttura richiamava quella di un piccolo proiettile d’artiglieria, con un’ogiva molto affusolata nella parte anteriore, una sezione cilindrica destinata a forzare l’imbocco della canna, un collarino per la crimpatura e una base aerodinamica nella parte posteriore. In questa nuova munizione non era più presente la tradizionale borra: l’ermeticità veniva invece assicurata da un sottile strato di vernice sigillante. Spinta da 3 grammi di polvere BN-3 F, questa palla raggiungeva la notevole velocità iniziale di 700 metri al secondo. Parallelamente alla definizione e all’introduzione del nuovo modello 1886, veniva sviluppata anche una nuova arma dotata di caricatore Mannlicher. A proporla fu M. Berthier, un funzionario della Compagnie Algérienne Bône-Guelma, che concepì un sistema più snello e moderno rispetto al precedente Kropatschek. Nasceva così una nuova generazione di fucili, più semplici da costruire e mantenere rispetto al Lebel, ma compatibili con la stessa munizione. Il caricamento avveniva tramite pacchetti—caricatori, inizialmente da 3 colpi e, successivamente, da 5, portando una ventata di modernità all’armamento francese di fine Ottocento.
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